12 maggio. Ekaterinburg

  Poco oltre la citta` di Samara comincio a percepire che un altro continente si avvicina. Entro infatti nella Repubblica Autonoma di Tatarstan, dove i Tatari, meglio noti in Italia sotto il nome di “Tartari”, compongono la meta`della popolazione. Essi hanno origini miste turche e mongoliche, lingua ed alfabeto propri e caratteri somatici decisamente differenti da quelli slavi; la moschea, presente in ogni citta`, e` il loro luogo di culto. Immediatamente dopo il Tatarstan c`e` un`altra Repubblica Autonoma: il “Baskortostan”. Anche i Baschiri hanno alfabeto e lingua diversi e lineamenti centro-asiatici.

   Superata la citta` industriale di Ufa, capoluogo del Baskortostan, mi inoltro negli Urali. La gente che incrocio torna ad avere perlopiu`i volti ormai familiari dei russi, cio`che cambia in modo notevole e`lo scenario naturale: la strada si fa piccola, stretta da due lati dai dorsi dei rilievi circostanti, e per innumerevoli volte sale in quota e ridiscende. Sebbene la soglia dei mille metri non venga mai avvicinata, si respira un`aria da alta montagna: i piccoli villaggi si raccolgono nei fondovalle ed accanto ad ogni abitazione c`e`una grossa catasta di legna da ardere.

   La giornata pare scorrere stancamete e solo la gente di passaggio lungo la strada corre per arrivare a destinazione. Gli abitanti del luogo non sembrano afflitti dalla stessa malattia della fretta e raramente si vedono fuori casa occupati in qualche faccenda; da ogni comignolo esce del fumo e cio` mi fa immaginare, forse a torto, che siano tutti raccolti intorno al focolare. Oppure rintanati nei “banja”, simili ai bagni turchi, con un locale per la sauna, un locale per lavarsi ed un terzo ambiente dove si discorrere lungamente seduti intorno a un tavolo di fronte ad un boccale di birra.

   Il maggio uralico, all`altezza di Celjabinsk, non ha ancora assaporato la mitezza della primavera: il disgelo e`appena cominciato ed i pendii in ombra sono coperti di bianco; una mattina grigia e fredda, per alcune ore, i fiocchi di neve si sciolgono sopra il mio cappello e sui miei vestiti.

   Ma come i 5000 km gia` percorsi, anche l`inverno degli Urali, quest`anno piu`lungo del solito, finisce alle spalle sorpreso da un sole improvvisamente caldo; la spessa coltre di ghiaccio che tuttora ricopre i laghi della zona comincia a sciogliersi.

   Al mio arrivo ad Ekaterinburg, il termometro segna oltre venti gradi. E`quindi piacevole passeggiare per le vie del centro e scoprire le numerose possibilita` di svago che spaziano dall`opera, ai musei, ai locali notturni od ai ristoranti. I numerosi eleganti palazzi,  gli immancabili tributi sovietici a Lenin ed alle vittorie del comunismo testimoniano quanto la citta` sia stata e sia cruciale nella storia e per l`economia dell`intera Russia: teatro dell`eccidio della famiglia imperiale nel 1918, teatro dell`ascesa al potere di Eltsin nei primi anni novanta, ora traino industriale di una vasta zona a cavallo tra Europa ed Asia.

L`Asia, appunto. Una stele al bordo della strada, poco prima di Ekaterinburg, ne indica l`inizio geografico. Cio`che qui chiamano la “frontiera” eurasiatica e` un limite poco piu`che simbolico: stessa lingua, stessa moneta, stessa gente a destra ed a sinistra della stele; solo la nuova sensazione di trovarsi ai margini di uno spazio immenso nel quale i punti di riferimento, citta`, mari o catene montuose che siano, sono un lusso raro.